di Nicola Ferraro
 
 
Non è il cuore che manca a questa squadra. È il cervello: per meglio dire, manca la capacità di leggere la gara, di imporre un predominio tattico, di essere camaleontica, imprevedibile.
Qui soltanto i pochissimi che potrebbero guardarsi soddisfatti l’ombelico non lo fanno e anzi hanno dipinta sul volto la preoccupazione e l’incredulità. Gli altri sembrano essere troppo soddisfatti di loro e del loro destino: sono capitati in una squadra blasonata, in una vetrina dalle luci che non si possono spegnere, in una compagnia di giro (il Toro) abituata ai teatri veri, mica alle scuole dove si va a recitare di fronte a scolari scettici e indifferenti per non morire di fame.

È la manifesta soddisfazione di troppi (abituati ad altri palcoscenici) ad impedire a questa compagine di giro di di diventare davvero squadra? Certo; quando le cose si mettono male (sempre, in ogni partita di questa stagione), la paura di ritorno nel limbo,  la possibilità di fuoruscita dalla vetrina mette in azione il cuore che spinge ad agitarsi, a lottare, a riemergere. Ma di una squadra in perenne risalita non si nota la capacità di pinneggiare ma la propensione ad affondare!
In genere l’agitarsi funziona perché le caratteristiche individuali sono spesso superiori a quelle degli avversari, ma la prevalenza del cuore sul cervello alla lunga fiacca il morale, rende timorosi e pigri: porta a fidarsi troppo, a far troppo conto sulle possibilità di risalita. Questa squadra ricorda un matto che continua a buttarsi in acqua non sapendo nuotare, convinto di sapere come si fa a non annegare: troppo poco per partecipare ad una gara di nuoto; da matti (appunto) pensare di vincerla!
Ad ingigantire questo difetto (un mix perfetto di presunzione e narcisismo) il modulo di gioco che si pretende di attuare: se hai dei campioni veri, perfetto per il “calcio champagne”; se hai un campione, qualche buon giocatore e tanti narcisi, perfetto per le “comiche finali”.
Per giocare con successo divertendo con questo modulo ci sono due possibilità: avere tanti campioni e ottimi giocatori in ogni ruolo o far viaggiare la palla alla velocità della luce. La palla veloce maschera le carenze, permette di coprire i buchi di ruolo sul campo, produce effetti sorpresa a raffica… Ma per farlo occorre che anche i giocatori per molti minuti della gara sappiano correre alla velocità della luce, altrimenti si entra nella strategia perdente dei tiri in avanti effettuati con logica speranzuola più che probabilistica. I nostri non sono in grado di farlo; dopo qualche sgroppata sembra che corrano trascinando sull’erba sacchi di cemento da 100 kg e i pochi che si concedono qualche sgroppata in più o sono preda dei crampi (a ottobre!!!!) o, visti da vicino, sembrano reduci dello sbarco in Normandia. Perché questo accade? All’inizio tutti pensavano al mancato smaltimento dei carichi della preparazione estiva; evidentemente si erano sbagliati, non è questione di acido lattico.
Questa squadra poi è senza centrocampo: se gioca all’attacco (e lo sa fare spesso bene) si scopre in difesa; quando si difende cerca le ripartenze che il modulo impone ma, senza centrocampo, ci si espone, nudi, all’irruenza operaia (siamo in B) degli avversari che ci crociffigono senza pietà…
Non spetta a chi scrive dire che fare; l’unica speranza è quella che si resista almeno questa volta alla tentazione di rifare tutto e che, almeno in società, torni il predominio del cervello rispetto ad altri organi.
 

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