C’è una storia nascosta, nella mia città  

 

* di Michele Monteleone 

 

Una storia autentica, con i suoi eroi ed i suoi miti. Fatta di racconti tramandati, d’immagini sbiadite dal tempo e colorate dai ricordi. Fatta di nostalgie e speranze, di drammi e di gioia, di disfatte e resurrezioni.
Fatta anche di date e luoghi, come ogni storia che si rispetti.
Già, i luoghi…
Il primo è a Superga, sulla collina torinese, dove sorge la splendida basilica e dove il 4 maggio del 1949 si consumò una tragedia. Ora, in quel luogo, nel punto esatto dove questa avvenne, c’è una lapide.
Senza luci degne di questo nome, senza una protezione dai vandali che su di essa accaniscono la propria impunità e stupidità. Spariti ormai da tempo i fregi che la ornavano in origine. Senza un cancelletto che ne tenga almeno lontani i pennarelli.

Solo una lapide con una trentina di nomi scolpiti, qualche fiore, un paio di sciarpe granata perennemente inzuppate di pioggia e nebbia. Qualche lettera rinchiusa nel cellophane, un gagliardetto. Nient’altro.
C’era un museo, nelle viscere della Basilica. Un museo con i pochi reperti dell’epoca, salvati dal fuoco e dalla distruzione grazie a mani ora vecchie, ed esposti come laiche relique.
Se n’è dovuto andare, quel museo. Non era il suo posto, si intima e si decreta. Quello è luogo per monarchi, per i loro divanetti in stile, per i loro armadietti istoriati. Roba sacra, s’insinua. Cose catalogate, di valore immenso e stabilito. Articoli da esperti, da studiosi, da intenditori. Da mani lisce e curate: da mercanti.
Non può essere mischiata a volgari e tarlate magliette da calcio, a cartoline, foto, lettere, documenti bruciacchiati, alla ruota di un aereo.
Cose profane, ma che ricordano i rari momenti di gioia per un popolo che rialzava la testa dalle macerie della guerra. Articoli senza prezzo, a meno che anche l’affetto, l’orgoglio e la dignità ne abbiano uno. Simboli, forse, ma di speranza e riscossa.
Non potevano stare insieme, le due cose, e neppure in ambienti attigui. E così è stato.
Il Museo del Grande Torino non è all’ interno della Mole Antonelliana e nemmeno in Piazza Castello. Nella sua città non c’è posto per nulla che non sia frutto delle antiche e nuove monarchie.
C’era un altro luogo, dove per lo stesso popolo sorgeva una sorta di tempio. Solo uno stadio stavolta, niente basiliche o cattedrali. Però era bello, con gli spalti raccolti attorno al campo, con le sue tribune in legno, con i suoi pali squadrati. D’inverno potevi vedere il fiato uscire dalle bocche di chi ci giocava, potevi sentirne le voci, potevi far ascoltare loro la tua.
Potevi chiacchierare con altri amici, aspettare l’uscita di Meroni, di Ferrini, di Sala, di Pulici. Nel frattempo sbirciavi i progressi dei ragazzini della Primavera, ansiosi di attraversare quei dieci metri di cortile che li separavano dai campioni. E tu, ancora più speranzoso di loro, ne scrutavi gli occhi, le movenze, ne sognavi il successo, li incoraggiavi. Ogni giorno, per generazioni.
Dava fastidio anche quello. Lo dava ai chi dei monarchi si è sempre ritenuto erede e nella città, che considera sua, non ha mai gradito templi che non fossero a lui dedicati o dei quali non possedesse almeno le chiavi.
Pure qui gli esperti dalle manine candide si erano documentati, dicevano di dover proteggere, garantire, tutelare, sovrintendere.
Si saranno distratti sfogliando listini prezzi o passeggiando per pinacoteche, così hanno impiegato qualche giorno di troppo. C’è chi pensa l’abbiano fatto apposta.
Cosi’, scoccata l’ora “x”, le ruspe mandate dal monarca e guidate da un sicario, hanno distrutto, violato, strappato, calpestato, schiacciato. Bruciato, ancora una volta.
Ed ancora una volta qualcuno è riuscito a salvare una panca, qualche scarpetta, un numero d’armadietto, un pallone.
C’è una storia nascosta, nella mia città. Ma che è passata da bocca in bocca, da libro in libro, da decenni. Una storia che nessuno dimentica, che cova sotto la cenere ed anche sopra.
Basterà un soffio di vento più forte, e agli esperti in distruzione, in false promesse, ai politicanti in mezze maniche perché mezzi uomini, ai falsi monarchi reduci dalle fonderie in disarmo ed ora riciclatisi alla sicurezza del cemento, inizieranno a scompigliarsi le parrucche, a sollevarsi le gonnelle, a sfilarsi le giacche e sciogliersi le cravatte per mostrare infine al mondo la loro vera figura: quella di banditi.

22 settembre 2013  

Nota. Questa storia era stata inserita su FB nel gruppo Rivogliamo la stadio Filadelfia ma è poi stata rimossa. Noi la riteniamo interessante perchè descrive ciò che un tifoso del Toro prova e può essere condivisibile da molti di noi. Ecco perchè censurata o meglio doppiamente censurata. 

 

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