di Andrea Morè
 
 
Mi sento un po’ strano o forse no.
Non so se sono normale a trovarmi a  42 anni a svegliarmi e pensare al Toro, girare, lavorare, confrontarmi con i problemi quotidiani e continuamente come una ruota che batte colorare tutto il panorama dei miei pensieri in granata, mi addormento e soffro, penso come risolvere i problemi miei e quelli del Toro che beninteso nella logica della ricerca della verità tra le goccie di pioggia che si mischiano alle proprie lacrime, sono la stessa cosa.

Appena sento, percepisco qualcosa di positivo sotto la mia pelle immediatamente mi chiedo in quale ambito riguardante il Torino calcio ciò si stia manifestando o per manifestare o si sia appena manifestato, altrettanto quando qualcosa di "negativo" mi tocca, ma immeditamente mi accorgo che già è successo, già è.
Ditemi che sono normale almeno agli occhi degli stessi visionari che siamo.Vi prego rasserenatemi siccome mia moglie, credo, cominci sinceramente ad avere paura…
Questo lo spiego siccome per me il Toro è un po’ come la Forza che tutto tiene unito o per meglio dire una delle sue espressioni  palpabili tra le più nette e mi fà sentire a casa ovunque lo Spirito lotta: dai pescatori in rivolta al guizzare di un pesce tra le mie gambe nel  mare.
Tale forza tutto unisce e tutto permea e non giustifico ne maledico le sventure o cosidette tali.
Credo nel kharma e nell’evoluzione spirituale, così mi spiego le famose tragedie come a dire che il Grande Torino ha raggiunto il massimo, ha svolto il suo compito sul Pianeta in quanto portatore di luce in anni lugubri, ebbene è partito ha fatto il massimo della sua esperienza umana.
Il Grande Torino è partito e così facendo ha permesso e dimostrato di andare oltre la morte, siccome la morte non è da vincere ma integrare in un qualcosa di più ampio.
Dalla morte del Grande Torino è nato il mito del settore giovanile granata ed ancor più il mito delle Resistenza Granata.
La nostra vita di granata è così, come Meroni partito libero verso chissà quale dimensione o Ferrini che si è permesso di abbandonare il campo solo all’ultimo minuto: il Toro aveva vinto e per davvero e sopra tutti, era il ’76, tutto quello che è venuto dopo solo briciole, non parlo di noi ma degli sciacalli che girano fuori dai templi.
Venero quella dignità che stà anche a rifiutare piatti succulenti ma contaminati e contaminanti.
Alti e bassi come la vita, siccome non siamo prigionieri di lifting dove si deve sempre vincere per scongiurare la morte e non vivere e non morire mai prigionieri di un film che gira incesssantemente riproponendo sempre le stesse immagini sempre più vuote che per rendersi spendibili pretendono un instupidimento prossimo alla lobotomizzazione della platea.
Noi non siamo immobiliaristi dello sport e della vita che cumulano coppe come palazzi e si inventano competizioni e regole nuove per continuare ad accumulare cercando di avere meno paura di vivere. Noi in questo mondo di cementificatori folli siamo e restiamo un bel giardino, forse il più bello ma ciò conta poco o forse no, conterà forse quando  saremo costretti, pena l’estinzione, a  rivolgerci tutti verso un mondo più vero e più giusto, auspico comuque in un realismo sensibile capace di allontanarci prima dal baratro.
Allora quanto fà soffrire vedere tanta ricchezza nelle mani di un monco (Cairo), tanta ricchezza distribuita in un mondo del pallone tanto arido quanto lontano dalla gente, tanta ricchezza snobbata da una situazione geopolitica locale ancora molto, troppo lontana da una libera espressione partecipata e partecipativa delle proprie ricchezze quali il Toro è in quanto: anima, essenza, vibrazione profonda in cui riconoscersi e perennemente impostasi agli occhi ed al cuore dei torinesi per se stessa in quanto pura e non da o per terzi.
Il Toro è sempre lì come la cartaccia che hai gettato la sera prima sul marciapiede e ti rimprovera, come la pazienza che si impara senza perdere la gioia, come la vite che cerca caparbiamente la via filettata.
Il Filadelfia: la culla di quella resistenza umana quotidiana, riferimento e monumento vivo ai lavoratori, poeti, santi, ladri, navigatori, disgraziati, corridori di avventure di tutti i giorni e chi più ne ha… chiunque abbia il coraggio di riconoscersi in un uomo e non in un burattino od un burattinaio che è sempre lo stesso mentire a se stessi.
Il Filadelfia stà a Torino come la Livella di Totò a Napoli  od i Caruggi stanno a Genova.
Torino, dove i  vicoli sono stati soppiantati da autostrade urbane e Ville con telecamere e fotocellule, lì nel Filadelfia tutti i vicoli come le rughe di tutti i visi si sono ritrovati, concentrati, mischiati riconosciuti, scoperti, dimenticati e riconosciuti ancora, distratti, rilassati, innervositi, scontrati, si è fatto il pallone come la folla e le acciughe come nei vicoli.
Entrare al Fila era come tornare a casa, la vera casa, trovare un "quì si può", per citare una battuta di un vecchio film di Fò e Rossi, una specie di porta spazio temporale dove avverti, senti ma sopratutto capisci che non conta essere nati prima o dopo, arrivare prima o dopo, avere o credersi di contare di più o di meno, lì conta essere, e vedi sgambettare davanti e agli occhi contemporaneamente Maroso o Beruatto o Francini o chissà mai un giorno Garofu.
Ma sopratutto un posto dove marinare la scuola cosciente di avere fatto qualcosa di utile.
Il Filadelfia è come il numero tredici che arriva dopo il cronometrico 12, perchè c’è una dimensione supplementare ma non alternativa che ti mostra il tempo come una palla e non come una pagina piatta di calendario, il numero tredici è la somma del 49 degli Angeli come del 67 di Gigi ed il 76 di Giorgio il Capitano e del Settimo scudetto.
Storia di pioggie sui marciapiedi come mille domande…
Il Filadelfia come la vecchia Maratona anche quella del fù Delle Alpi, luoghi coccolati e visitati da  carezze di passaggi automobilistici spesso notturni in percorsi sempre allungati nei ritorni a casa e istintivi quanto puntuali pugni alzati dal finestrino aperto, tutte condizioni atmosferiche confuse.
Pensare che potremmo avere il Fila, il Comunale con ritrovata Maratona allargata al settore ospiti, i campi del Nizza tutti per noi, in Città, come sarebbe appena giusto per la squadra che è la summa genetica e da rogito notarile di tutte le compagini torinesi, ora che gli altri emigrano non a Palermo o Bologna come volevano prima ma nella più modesta Venaria in uno squallido supermercato mi fa venire i brividi dall’emozione.
Nel contempo vedere come il Presidente snobbi tutto ciò così come  tutte le associazioni che fanno capo al Toro mi dà compulsività di stomaco, è come bloccare  l’afflusso di sangue ad un malato in attesa di transfusione compatibile da secoli ed imbottirlo di antibiotici sempre nuovi, quasi fossimo una cavia ai suoi esperimenti, inutile dire che la fiducia nel Dottore è andata….
Ha la Città ai suoi piedi, certo non quella dei badola dei burattini e burattinai, ma quella degli uomini, beh quella non gli interessa se non come popolo pagante, è in condizione di mettere in scacco chi ci vuole male e di chi vuole veramente una squadra sola a Torino, come dice lui e sanno tutti, rivolgendogli contro il progetto di privare la Città della sua squadra e della sua Anima e contemporaneamente millanta costruzioni di centri sportivi tipo milanello e lo motiva come risposta al medesimo ostracismo esercitato da una certa Torino bene e male, questo mi lascia sconcertato, siamo alla follia suicida pura, dove alla schizzofrenia si aggiunge la paranoia.
Ma non gli viene la riflessione che oltre ai due o trecento, come li conteggia lui i contestatori, ci sarebbero da aggiungere le migliaia perse allo stadio?
Novemila presenti scarsi sabato passato, un numero così basso forse lo abbiamo avuto in qualche turno iniziale di Coppa Italia degli anni ottanta e per avere così pochi abbonati bisogna tornare agli anni sessanta.
Ma porca miseria, per una volta che ne troviamo uno che non è sponsorizzato dai badola e ha anche qualche soldo, di Toro non capisce una fava e sopratutto gliene frega ancora meno…
Non mi scaglio contro nessuno, mi faccio domande come goccie di piogggia sul marciapiede.
In queste condizioni, ancora forse incapaci di sobbarcarci il peso del Torino FC tutto,  penso che dovremmo incominciare ad esercitarci tutti nella migliore propagazione del Toro oltreche alla sua salvaguardia, incominciando dal Fila e dalla sua ricostruzione e dalla sua futura autonoma gestione, installarci il Museo di Villa Claretta, l’Associazione Ex Calciatori Granata ed  il  CCTC, nell’attesa di una società calcio  nostra anche in termini pratici e legali o decisa a tornare se stessa indi all’ovile già abitato dai suoi.
Sinceramente, non sono le contestazioni od i controcontestatori che mi fanno più male, ma la schizofrenia totale cui siamo tutti noi granata  sottoposti ogni giorno.
E’ logorante, fà male, è quasi patologica la cosa, sperare ardentemente nella partita e non riconoscersi più in quasi niente, il non sapersi dove dirigere se non finalmente rivolgendoci verso il nostro cuore, spesso ritrovandoci come carbonari di facebook a recitare mantra granata.
Vedere questa temporanea esplosione del pianeta Toro, dove ognuno và per i fatti suoi e come se la ridono i badola nel vederci bisticciare mi fà imbufalire come di fronte alla più grande balla che si possa raccontare ad un popolo.
E’ fantastico vedere le miriadi di grigliate granata, feste, club su internet eccetera ma tutto tutto tutto senza il minimo collante o forse no il collante è e resta il Toro, ma senza un progetto comune capace di scongiurare questa schizofrenia ormai cronica.
Allora concentriamoci sui di un obiettivo solo, Tutti: non è la serie A od il sostegno alla squadra (quello è lapalissiano) ma concentriamoci sul Fila, sulla casa, sulla sua gestione, colpiamo chi ci vuole male proprio su quello che loro non saranno mai: Tori e su quello che vogliono toglierci, invidiosi di non averlo mai avuto così come un cuore: Torino.
Adesso che le ipoteche sono pare definitivamente cadute, che c’è un progetto di azionariato popolare vero (TOROMIO), adesso che anche il Comune si dichiara aperto ad aiutare per tentare maldestramene di compensare lo squallido servilismo verso i badola e le loro speculazioni immobiliari,  adesso che siamo al vivere o perire è ADESSO O MAI PIU’!
Riprendiamoci la Città e Noi stessi, aspettando dirigenti in grado di capire, muoviamoci noi, ma assolutamente tutti insieme, è l’occasione di Vincere per davvero e rinascere ancora una volta e non mi trovo visionario piuttosto realista in nome di tutto quello che è, ho voglia di un CLN granata che trovi dimora.
Nel decidere di combattere la malattia c’è la metà e più della guarigione altrimenti inutile vivere.
Chi vuol contestare Cairo benvenga  chi lo sostiene ugualmente, ci troviamo come un paese, metti l’Italia di fronte ad una epidemia, in tali occasioni gli schieramenti  politici diventano incostistenti ed inutili, di fronte all’emergenza e spesso tale comportamento porta ad una evoluzione del pensiero da partigiano ad attore del proprio destino, la Società compie passi da gigante.
In queste condizioni di solito ci si riconosce infine come Uomini e non come categorie e si fanno veramente delle belle cose, le più belle.
Combattiamo se ancora crediamo nel Toro, quello vero, combattiamo per il Toro.
Perchè Il Torino  è come un mugnaio, gli altri sono quelli che ti rubano la farina per rivenderti il pane, allora:
RICOSTRUIAMO IL MULINO che l’acqua tornerà e proteggiamolo dai ladri e ricominciamo a mangiare pane biologico aspettando il salame da metterci dentro.
 
 

4 ottobre 2010

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