CRISI DEL TORINO ?
Ma quale crisi!!!
 
di Andrea Morè
 
 
Tutti quanti parlano di "Crisi del Torino" e la cosa mi fa ridere.
Il Torino non è e non può essere in crisi perché non è mai stato sano!
La sindrome da risultati immediati, la mancanza di essenza Toro dalla base o meglio dal vertice, la sistematica eliminazione di essenza Toro germogliante ad ogni stagione cancellata dall’ennesima rivoluzione non sono che l’espressione di una situazione di disagio “megalomaniaco” psicofisico da chi genera e gestisce il Torino FC attuale.

Se si ricostruirà il Filadelfia sarà questo fondamentale ma resteranno comunque solo muri se ad abitare i luoghi saranno fantasmi alieni al Toro.
La grande distruzione non sono stati i muri ma non aver continuato nella centennale tradizione granata dei Vatta e dei, fu Cozzolino, nel non investire nella struttura smantellata dal fallimento.
Zaccarelli quasi da solo riuscì a farci vincere la B e fare trionfare la ricca tradizione del Torino sfornando campioni che ancora calcano le scene, il fallimento sopraggiunse ma la solidarietà e la forza taurina riuscirono a salvare il tutto, un altra avventura umana si era generata e malgrado le perdite ingenti (società da ricostruire) c’era qualcosa…
Piuttosto che investire in questo qualcosa a promozione raggiunta ci fu  un bel calcione nel sedere di tutti e "vai che ti faccio lo squadrone" in totale disaccordo con tutto il credo granata ed in spregio di cento anni di dignità umana e sportiva.
Sei stagioni dopo siamo ancora lì: l’anno scorso c’erano i Barusso, Pestrin, Loria che avrebbero venduto la figlia per rimanere al Toro… d’accordo non sono campionissimi ma erano il germoglio di un gruppo…
Si è preferito dare retta allo stratega di turno con il suo calcio telefonico dei 334 446 658 eccetera che pare sia lo stesso verbo da contabile dell’armatore del vapore e si riparte.
Le squadre sono fatte di uomini innanzi tutto e per fortuna!
Ogni anno si tengono tra virgolette i migliori : "ho tenuto Bianchi ed Ogbonna", tuona… ma in realtà si  dovrebbe tenere un gruppo e lo si migliora qualitativamente ed umanamente di anno in anno, fieri tutti:  partenti, restanti e  nuovi,  di aver contribuito a rendere ancora più leggendaria la storia del Toro, piuttosto che contribuire ad affossarla.
I successi come le sconfitte appartengono agli uomini e non alle statistiche ed ad essi devono ritornare,  è un assioma basilare del calcio e di tutto e marca distinguente di questa società sportiva che è stata espressione di milioni di Grandi Piccoli Uomini, dignitosi e geniali nella loro singolarità, umili e solidali membri di una Grande Famiglia.
Gli uomini? Il Toro? Lo sport ed il Gruppo in tutto questo Torino cosa ci azzeccano? Probabilmente tanto quanto i risultati sportivi del Torino da cinque stagioni in qua.
Ne abbiamo abbastanza degli strateghi del calcio telefonico "334 4447 532 tuuuuuuuuut, suonaoccupato" ed anche degli ottimi talent scout con  due lire (Petrachi) se manca la priorità: IL TORO, tutto risulta vano anche la migliore pasta senza scolapasta e finisce nel gorgo del lavandino servendo solo a far salivare la bocca un attimo per farsi rimpiangere una volta la fame venuta.
Eppure malgrado tutto quelle maglie e l’amore di questa Città per quella squadra trasudano qualcosa e riescono a tenere unita quell’insieme di singoli elementi per qualche miracolo stratosferico ma sempre e solo come conseguenza e non come concetto perno del Torino FC.
Il Toro era altro, era una Famiglia e financo il Presidente era e restava, nel suo proprio interesse, al servizio di questa forza piuttosto che pasticciare dappertutto giocando nella stanza dei bottoni,
 attività devastante  esercitata direttamente o caricando dei parafulmini (Petrachi, Lerda), che praticano il suo stesso verbo contabile e “cuntabale”.
Ma se squallidamente si vuole giocare a questo gioco di giocatori e dirigenti usati come ciabatte da usare alla corda e buttate nel cestino a fine stagione, di figli e figliastri, di prestazioni a cottimo, di pubblico da usare come vettore di marketing, alienandosi così facendo da tutto quello che è Toro, beh se si persiste in tale credo: ci  si mettono i soldi e tanti e si fanno le squadre a settembre, purtroppo o per fortuna  anche in quello è stata fallimentare la gestione Cairota.
Perchè anche se per miracolo il Toro vincesse 12 partite + 4 dei playoff e magari gli fosse ridato l’ottavo scudetto e ci ammettessero per gloria sportiva alla prossima Champions League il solo a vincere sarebbe Cairo, non il Toro, non Noi ed allora cosa ce ne può fregare?
 Per Noi, per il Toro per Torino in tutto questo: quale futuro? Quando la Gente, il Popolo, cioè i reali fautori e beneficiari di qualsivoglia progresso sono solo più considerati come squallidi consumatori e non partecipi ed artefici di un parto riuscito?
La priorità! La priorità è il Toro, resta il Toro, restiamo Noi: non dimentichiamolo, perché anche Questo prima o poi scomparirà sperando che non ci abbia trascinato in serie C o peggio forse in serie A come fotocopia di una squadra anonima e senz’anima, ad espirare Noi le sue megalomanie.
Restiamo uniti  Noi e cerchiamo di salvare il Toro cioè NOI Stessi.
Perché se la conduzione Ciminnelliana era atta a traghettarci verso la scomparsa, sempre e tramite la considerazione beceramente economica figlia di una visione che con l’economia reale non c’entra un fico secco e tale progetto suscitò una rivolta popolare, questo "progetto"cairota dove tutto il Popolo Granata se ne lava le mani dando tutto in mano al benefattore, al mistificatore ed al millantatore di turno, ha come rischio conseguente di far tacere la parte migliore di Noi, quella che ha saputo riprendersi il Toro dopo fallimento.
Tutta la società civile mondiale si sta ribellando e non crede più in chi vuole pensare per te lucrando anche sulla tua vita come sulla tua morte, tutta la Società è in fermento per una responsabilizzazione collettiva delle sorti e del rispetto dell’individuo che si traduce in una gestione equa del Pianeta, allora il Toro può essere ancora una volta metafora reale della Società civile ed esempio per essa altrimenti: c’è il rischio di morire in silenzio, nel nostro stesso silenzio, nell’indifferenza la più totale che è forse la cosa più terribile.
Ci vuole ancora un passo all’autodeterminazione ma bisogna farlo, passi questa dal commissariamento della Società o da una rivolta di piazza, l’importante ora è sopravvivere, nient’altro.
 
Andrea Morè 
 
8 marzo 2011 
 

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